DONNE E LAVORO: OUT OUT o WIN WIN?
Per uscire vincenti dai luoghi comuni….
Conciliare famiglia e lavoro retribuito è possibile?
O meglio: Conciliare famiglia e lavoro retribuito è possibile ANCHE PER UNA DONNA??
O meglio: Conciliare famiglia e lavoro retribuito è possibile ANCHE PER UNA DONNA ITALIANA???
Partiamo dai dati.
In questi ultimi anni l’attenzione per l’importanza economica delle donne è andata decisamente crescendo a livello mondiale. Il loro ruolo viene oggi riconosciuto come una fonte di buona salute, maturità e vitalità economica del sistema. Il World Economic Forum pubblica ogni anno il “Global Gender Gap Report”. In base ai dati del 2012 l’Italia crolla dal 74° al 80° posto (su 135 paesi analizzati) in termini di disparità complessiva uomo/donna, posizionandosi dopo Ghana, Kenya, Honduras, Botswana, Peru. Collocandosi tristemente tra il 39% dei paesi in peggioramento (a fronte di un 61% in miglioramento).
Analizzando gli indicatori di dettaglio (sempre su 135 paesi):
- Partecipazione all’economia: 101° posto
- Istruzione: 65° posto
- Salute e aspettativa di vita: 76° posto
- Presenza in Politica: 71° posto
- Partecipazione come forza lavoro: 87° posto
- Divario salariale uomo/donna a parità di ruolo: 126° posto
- Livello di istruzione: 59° posto
Risulta invece raggiunta la parità tra i generi per presenza nell’educazione secondaria di secondo livello e all’Università. Emerge quindi un contesto nel quale le donne Italiane sono istruite, escono da scuole ed università con apparenti pari opportunità rispetto ai colleghi uomini, ma sono poi pesantemente penalizzate di fatto in termini di sviluppo di carriera, partecipazione/presenza nei ruoli di vertice in economia e politica, livelli retributivi etc.
Dalla ricerca realizzata da Econag (spin off Alma Mater Studiorum Università di Bologna) condotta nel 2010 sull’occupazione femminile all’interno del sistema cooperativo regionale sono emersi dati che confermano il trend nazionale (e visto il trend peggiorativo non vorrei dover dire che sia quasi meglio non disporre di dati più aggiornati…..) ossia:
- Scarsa presenza di donne ai vertici delle aziende (soffitto di cristallo);
- Minori opportunità di carriera (correlate alla minor disponibilità di tempo);
- Carico del doppio lavoro retribuito e non retribuito (lavoro di cura); responsabilità di cura familiare non equamente ripartite;
- Differenze salariali a parità di ruolo (equal pay day);
Risultati ancora più eclatanti, se si considera che il tasso di occupazione femminile all’interno del sistema cooperativo dell’Emilia Romagna è di molto superiore allo stesso dato a livello nazionale e se si considera il fatto che, tra i valori fondanti del sistema cooperativo, si trova proprio il benessere dei lavoratori e delle lavoratrici e il miglioramento della qualità del lavoro e della vita.
Il tema della capacità/incapacità di conciliare i tempi di vita e di lavoro ricade oggi di fatto solo sulle spalle delle donne stesse e viene considerato, nella migliore delle ipotesi,un problema personale delle donne, o perfino, un ineluttabile fattore biologico.
Le conseguenze sono che le giovani donne che si affacciano al mondo del lavoro con lauree brillanti, ottimi risultati accademici, piene di speranze, temono (e visti i dati difficile dare loro torto) che mettere su famiglia debba necessariamente comportare una riduzione dell’impegno lavorativo e quindi per non penalizzare la carriera, rinunciano a fare figli, o rimandano il momento della procreazione a volte fino ad una soglia di non ritorno, o riducono il numero di figli che desidererebbero. Altre invece rinunciano alla carriera a favore della famiglia, tanto che il tasso di abbandono del lavoro dopo la nascita del primo figlio è del 20%, mentre il tasso di fertilità è di 1,4 figli.
Fin qui dati e fatti sembrano avvallare l’ipotesi che il tema donne e lavoro sia effettivamente un OUT OUT e che le donne, ancora oggi, debbano essere costrette ad una scelta drastica tra lavoro e famiglia, tra realizzarsi come professioniste oppure come madri, e che per loro il prezzo da pagare per potersi realizzare come PERSONE sia ancora troppo alto.
Ma in realtà, ribaltando il punto di vista ……..
Il fatto che le donne inizino un percorso di formazione scolastica durante il quale ottengono ottimi risultati tanto quanto, se non meglio, dei colleghi maschi, ma che tra i 30 e i 40 anni di età, periodo che coincide solitamente con la creazione di una famiglia, si registri un rallentamento dello sviluppo di carriera è un dato che non può essere considerato un problema personale delle donne, bensì impatta sui risultati aziendali in termini di perdita di TALENTI.
Il fatto che le aziende per i ruoli di responsabilità e di vertice attingano oggi quasi esclusivamente al 50% delle opportunità rappresentate dall’universo maschile è di fatto un dato che impoverisce il potenziale bacino di utenza delle aziende e quindi le loro opportunità di crescita e sviluppo.
Il fatto che le aziende possano ancora giustificarsi dicendo che non riescono a trovare personale femminile che voglia assumere questo ruolo o questa responsabilità è solo un finto alibi, le aziende dovrebbero iniziare a chiedersi:
“cosa possiamo fare per attirare talenti dall’intero bacino di potenzialità esistenti, quindi dal 100% della popolazione e cosa possiamo fare affinché una volta inserite in azienda le migliori potenzialità non ci sia una fascia di persone (sovente donne) che a causa di esigenze di cura o incombenze dettate dalla vita familiare si veda costretta, suo malgrado, a ridurre l’impegno lavorativo, quando tali problematiche possono trovare ottime soluzioni dal punto di vista organizzativo?”
Da consulente di organizzazione aziendale dico quindi che il tema della conciliazione tra i tempi di vita e di lavoro, può essere trattato e risolto per quello che di fatto è: un cambiamento organizzativo, con vantaggi reciproci in termini di miglioramento del benessere delle persone e miglioramento dei risultati aziendali.
Nei prossimi articoli vedremo come…..