Mondo del lavoro e Welfare: per diventare presto un “paese per giovani” e un “paese per donne”
Qual è l’Italia che vorrei?
Vorrei un’Italia in grado di leggere i cambiamenti insiti nella società e nell’economia e in grado di renderli effettivi ed operativi nei diversi ambiti, settore privato, settore pubblico, famiglie e cittadini e soprattutto un’Italia in cui i grandi proclami condivisibili, non siano poi palesemente in contrasto con le politiche adottate o con la struttura immutabile di un sistema di privilegi per pochi, in questo pese che non è (ancora e per ora!!) un paese per giovani (come ci dice Alessandro Rosina)!! Quindi che è – ancora e per ora – un paese senza futuro.
Perché?
-
Perché riprendendo la lettera al figlio che Pier Luigi Celli lesse all’incontro di generazioni di Modena del 97, prima di arrivare a dire la stessa cosa a mio figlio e mia figlia e quindi di lasciare l’Italia e di trovare la loro strada all’estero, vorrei provare a cambiare qualcosa;
-
Perché ci sono esempi concreti di possibilità di trasformazione dei problemi in opportunità, cambiando prospettiva! Si può fare!!
Si parla di problemi economici e di calo della natalità, problema dell’occupazione e della precarietà del lavoro per i giovani, problema della sottooccupazione femminile rispetto agli standard europei o meglio mondiali, problema delle pensioni, posticipo dell’età pensionabile, problema dell’invecchiamento della popolazione, tutto ciò in un momento in cui l’ente pubblico rischia di avere sempre meno risorse da destinare ai servizi di cura ai bambini, agli anziani, etc e in cui le famiglie cambiano e cambia la struttura demografica della nostra società.
Come ?
E’ necessario quindi ribaltare totalmente prospettiva e chiedersi:
-
Se siano le persone, i giovani, le donne, i pensionati a doversi sempre accollare con responsabilità i sacrifici necessari e adeguarsi alla struttura esistente, immutata e immutabile della nostra società, o piuttostocome possano le imprese, le istituzioni, gli Enti Locali, le Associazioni datoriali, leggere questi cambiamenti socio demografici e proporre modelli diversi ed innovativi di lavoro e welfare;
-
Se questi apparenti problemi non siano in realtà un’opportunità di cambiamento che possa di fatto modificare in positivo tre aspetti correlati: la capacità delle imprese di stare sul mercato e di lavorare in modo più efficace ed efficiente, la capacità dell’ente pubblico di leggere i bisogni dei cittadini ed essere promotore di risposte adeguate, la possibilità per le persone, lavoratori e lavoratrici e cittadini e cittadine di trovare nuovi equilibri familiari e migliore qualità di vita.
E’ assurdo continuare a chiedere sacrifici e responsabilità ai giovani precari valorizzando la flessibilità del lavoro quando la struttura della società e tutti i privilegi conseguenti rimangono imperniati sul posto fisso, dall’erogazione di un mutuo, alla costruzione di una famiglia. E’ assurdo parlare di sottoccupazione femminile, quando si richiede solo alle donne di adeguarsi a modelli aziendali e di organizzazione del lavoro maschili e soprattutto imperniati su una struttura di società che non esiste più. Le famiglie non sono più composte da un capofamiglia maschio percettore di reddito con a casa una moglie dedita all’attività di cura. Le famiglie e i nostri figli hanno e avranno due genitori che lavorano entrambi, spesso per necessità, e che entrambi devono, possono e vogliono occuparsi di loro!
E’ provato che nei paesi in cui le donne non sono costrette a scegliere tra maternità e lavoro la natalità aumenta, aumenta la richiesta di servizi e si sviluppa l’economia. Goldman e Sachs stima una crescita del 13% de PIL in Italia se il livello di occupazione femminile aumentasse oltre il 60% (dal 48% attuale).
Quindi, sono le imprese e il settore pubblico che devono cambiare ed adeguarsi per diventare un po’ di più paesi per giovani e per donne se vogliamo raggiungere questi obiettivi economici!
Come conciliare tutto questo, trovandone vantaggi per tutti i soggetti e migliorando la qualità delle nostre vite?
Come direttore di un ente di formazione ed esperta di gestione risorse umane ed organizzazione aziendale, vedo quotidianamente che le aziende hanno sempre più necessità di lavorare in modo efficace ed efficiente, rispondendo in tempi rapidi o meglio anticipando i cambiamenti del mercato e del contesto socio economico, contestualmente hanno però meno risorse da investire. Inoltre devono tenere conto dei cambiamenti socio demografici, e con risorse decrescenti garantire l’inserimento dei giovani, di donne, il mantenimento e l’aggiornamento di competenze di lavoratori in età avanzata. Come conciliare tutto ciò?
Dovranno cambiare le competenze richieste e la modalità di lavoro i sistemi di valorizzazione delle competenze e sistemi premianti e sempre più la strategia competitiva si giocherà a livello di risorse umane. Diviene strategico garantirsi le migliori risorse, più motivate, produttive efficienti, e con competenze sempre crescenti, che sviluppino creatività, innovazione, nel corso della loro LUNGA vita lavorativa.
Quindi dovranno esserci cambiamenti culturali:
-
Lavorare sempre più per obiettivi , indipendentemente dal tempo fisico di presenza sul luogo di lavoro – (conciliazione tra i tempi di vita e di lavoro, flessibilità degli orari, telelavoro);
-
Valorizzare le competenze acquisite in contesti diversi da quello lavorativo, garantire alle persone crescita personale e vivacità intellettuale, permettere percorsi di carriera non lineari, interruzioni, anni sabbatici, congedi parentali. La vita lavorativa non sarà nettamente distinta in fase produttiva e pensione;
-
Le aziende anche in momenti di calo di risorse economiche potranno motivare i lavoratori non solo con benefit ed incentivi economici , ma anche con tempo, servizi, ferie, anni sabbatici, in sintesi qualità della vita etc. Lavorare tutti, meglio in modo diverso.
Tutto ciò per garantire i migliori risultati aziendali e la soddisfazione e il benessere delle persone
Come amministratore di un Ente Locale, vedo quotidianamente che il pubblico ha e avrà sempre maggiori difficoltà a garantire il livello di servizi ai quali siamo abituati, soprattutto in Emilia Romagna. Anche in questo caso è necessario un cambiamento di prospettiva e intendere il soggetto pubblico non più erogatore, ma in grado di leggere i bisogni dei cittadini (in termini non solo economici, ma anche in termini di tempo, organizzazione di servizi e soluzione di problemi) ed essere promotore di soluzioni. Stimolando quindi modelli di integrazione pubblico privato, nei quali altri soggetti economici (le cooperative) possano trovare spazi di sviluppo. Oggi più che mai e in un prossimo futuro, la cooperazione già fortemente presente nel terzo settore, potrà essere il soggetto che prima, meglio e più di altri si integra in questo modello sociale,
-
sia come realtà aziendale attenta al benessere dei lavoratori (anche se con risorse economiche limitate),
-
sia come soggetto privilegiato di interlocuzione con l’ente pubblico,
-
sia come sistema in grado di sviluppare nuovi business nell’ambito dei servizi
e a maggior ragione noi giovani cooperatori possiamo essere promotori di questa nuova cultura.