Un cooperatore in viaggio a Manchester
Mi dicono: Vai a Manchester al congresso dell’Alleanza Cooperativa Mondiale. Urca. Sono emozionato, poi penso: cosa so, io, di Manchester?
Sicuramente so di Sir Alex Ferguson, del suo Manchester United e di quell’ Old Trafford che è uno dei templi del calcio moderno, e fin qui è facile. E poi? Gli Oasis da dove venivano? Sempre da quella città, se non sbaglio. Poi, controllo su google maps in chepreciso posto della brughiera inglese sta questa città e quanti abitanti ha (500 000 circa, non è piccolissima ) , scopro pure che è vicinissima a Rochdale, dove venne fondata la prima cooperativa nel 1844, e allora cominciano a mettersi in moto i neuroni e mi sovviene di quella corrosiva descrizione che ho letto di quella città tanti anni fa, forse neanche maggiorenne:
Dirò ancora che gli stabilimenti industriali sono disposti quasi tutti lungo il corso dei tre fiumi o dei diversi canali che si diramano per la città, e passo quindi direttamente a illustrare i quartieri operai. Ecco in primo luogo la città vecchia di Manchester, che si stende tra il margine settentrionale del quartiere commerciale e l’Irk. …Qui siamo realmente in un quartiere quasi dichiaratamente operaio, poiché anche i negozi e le osterie non si prendono la briga di apparire un po’ puliti. Ma questo non è ancor nulla a paragone delle viuzze e dei cortili che si stendono dietro di esse, e ai quali si arriva soltanto per mezzo di stretti passaggi coperti attraverso i quali non passano neppure due persone l’una accanto all’altra. È difficile immaginare la disordinata mescolanza delle case, che si fa beffe di ogni urbanistica razionale, l’ammassamento, per cui sono letteralmente addossate le une alle altre. E la colpa non è soltanto degli edifici sopravvissuti ai vecchi tempi di Manchester: in tempi più recenti la confusione è stata portata al massimo, poiché dovunque vi fosse un pezzetto di spazio tra le costruzioni dell’epoca precedente, si è continuato a costruire e a rappezzare, fino a togliere tra le case anche l’ultimo pollice di terra libera ancora suscettibile di essere utilizzata. [...]
In basso scorre, o meglio ristagna l’Irk, un fiume stretto, nerastro, puzzolente, pieno di immondizie e di rifiuti che riversa sulla riva destra, più piatta; con il tempo asciutto su questa riva resta una lunga fila di ripugnanti pozzanghere fangose, verdastre, dal cui fondo salgono continuamente alla superficie bolle di gas mefitici che diffondono un puzzo intollerabile anche per chi sta sul ponte, quaranta o cinquanta piedi sopra il livello dell’acqua. Per di più ad ogni passo il fiume si trova ostacolato da alti argini, dietro i quali si depositano e imputridiscono in grandi quantità il fango e i rifiuti. In capo al ponte, stanno grandi concerie, più sopra ancora tintorie, mulini per polverizzare ossa, e gasometri, i cui canali di scolo e rifiuti si riversano tutti nell’Irk, che raccoglie inoltre anche il contenuto delle attigue fognature e latrine. È facile immaginare, dunque, di quale natura siano i depositi che il fiume lascia dietro di sé. A piè del ponte si vedono le macerie, l’immondizia, il sudiciume e la rovina dei cortili che danno sulla ripida riva sinistra; una casa segue immediatamente l’altra, e, per l’inclinazione della riva se ne vede di ciascuna un pezzo: tutte nere di fumo, sgretolate, vecchie, con le intelaiature e i vetri delle finestre in pezzi. Lo sfondo è formato da vecchi stabilimenti industriali simili a caserme. Sulla riva destra, più pianeggiante, vi è una lunga serie di case e di fabbriche; già la seconda casa è diroccata, senza tetto, piena di macerie, e la terza è così bassa che il piano inferiore è inabitabile e quindi è sprovvisto di finestre e di porte. Lo sfondo è costituito qui dal cimitero dei poveri, dalle stazioni delle ferrovie di Liverpool e di Leeds, e dietro ad esse è la casa di correzione, la «Bastiglia della legge sui poveri» di Manchester, che come una cittadella guarda minacciosa dall’alto di una collina, dietro alte mura e merli, verso il quartiere operaio che si trova di fronte.”
La firmava Federico Engels ed era una delle più avvincenti descrizioni della condizione operaia durante la rivoluzione industriale.
Del congresso della cooperazione mondiale non sapevo nulla a parte quelle poche informazioni raccolte dai documenti preparatori che mi erano stati inviati. Con questi pochi ma saldi presupposti sono partito in ottima e cooperativa compagnia.
L’arrivo è stato all’altezza della aspettative: servizi pubblici funzionanti e correttezza inglese. La serata della prima giornata è trascorsa tra negozi urbani della concorrenza per tentare di capire come va il mondo. Manchester è passato, presente e futuro. Lo si nota dappertutto. È passato perché forte è l’orgoglio di aver contribuito con la rivoluzione industriale e i suoi prodotti politici – sovrastrutturali, si sarebbe scritto un tempo – a rendere migliore la vita degli uomini. In questa città è palpabile la soddisfazione di aver fatto da culla al movimento cooperativo, a quello operaio, ai primi esperimenti degli imprenditori illuminati ( Owen stette di casa per diversi anni qui ) e la cura della memoria di questi eventi raggiunge vette per noi inimmaginabili.
Non credo ci siano tante città in giro per il mondo a poter vantare un intero quartiere cooperativo, con riuniti i diversi palazzi sedi della grande cooperativa di consumo (che qui, a scanso di equivoci si chiama The cooperative, con l’articolo determinativo, tanto per chiarire), della assicurazione cooperativa, e di altre cooperative. È presente perché c’è orgoglio e una cura che permettono, con questa consapevolezza, di poter sperimentare per l’oggi le soluzioni più ardite senza per questo dover perdere pezzi di identità per strada. È futuro perché respiri l’aria del mondo che verrà ( e nelle nostre lande sicuramente dopo.. ), perché l’integrazione non è tema di preoccupate relazioni ai convegni ma la vedi e la apprezzi per strada, sui treni e negli uffici. È futuro perché a fianco della biblioteca del 1200 dove i due barboni – nel senso di dotati di folta peluria a ricoprir le gote – si ritrovavano verso la metà dell’ottocento a discutere dei destini dell’umanità, o meglio della parte più debole, ci stanno i dieci piani vetro e cemento del museo del football ( e ci stanno bene). Lo si nota anche nel linguaggio al convegno, che non ha paura delle parole e della loro potenza. Cambiamento e rinnovamento: una nuova direzione per il movimento cooperativo; principi tradizionali ma applicazione moderna; onorare il passato senza rimanere bloccati al suo interno.
Questa è la prima impressione che ricevo, e poi un’altra, girovagando tra gli stand dell’ex stazione ferroviaria rimessa a nuovo e trasformata in centro congressi ( a anche nella programmazione urbanistica trovi declinati i concetti di prima…): il movimento cooperativo è grande, importante, variegato e si occupa di tutto: oggettivamente una della possibili leve di miglioramento della condizione delle persone a livello mondiale. Insomma: sappiamo far di tutto, lo facciamo spesso meglio degli altri, e con un occhio sempre attento a chi ha di meno e a chi verrà dopo di noi. Del resto nelle relazioni che sento dai cooperatori di tutto il mondo mi viene confermata questa mia sensazione. E poi tanta gioventù e tanta immediatezza e spontaneità. Penso: bisognerebbe portarli tutti, qua, quelli che lavorano con noi in Coop.Credo di aver integrato le scarse conoscenze che avevo della città.